La ricerca della felicità
La felicità è l'obiettivo di ogni essere senziente. Per mezzo delle Quattro Nobili Verità il buddhismo ci insegna a creare le cause per la vera felicità.
La ricerca della felicità è la forza che guida l’esistenza di tutti gli esseri senzienti.
Istintivamente noi pensiamo che essere felici significhi essere ricchi e possedere molte cose. In realtà da un punto di vista psicologico, la felicità è la condizione in cui non vi siano desideri da soddisfare.
Per il buddhismo tibetano di scopo più alto, la felicità é la cessazione definitiva della sofferenza per tutti gli esseri senzienti. La felicità di ciascuno infatti, non potrà essere completa fino a quando ci sarà un altro essere senziente che soffre.
Il primo insegnamento donatoci dal Buddha subito dopo l’illuminazione riguarda le quattro nobili verità, che sono la strada per la liberazione dalla sofferenza. La prima nobile verità è la verità della sofferenza, la seconda è la verità delle cause della sofferenza, la terza è la verità della cessazione della sofferenza e la quarta e la verità del sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza.
Adesso le vedremo una per una.
Prima nobile verità: La verità della sofferenza
La prima nobile verità afferma semplicemente che la sofferenza esiste ed è inseparabile dall’esistenza degli esseri senzienti. La parola utilizzata per sofferenza è dukha, che nell’antica lingua pali non significa soltanto dolore ma più ampiamente situazione insoddisfacente o incompleta.
Nel buddhismo ci sono diverse classificazioni della sofferenza, noi ci soffermiamo oggi su una classificazione in tre tipi diversi di sofferenza.
Il primo tipo è la sofferenza della sofferenza, ovvero il dolore e l’insoddisfazione, che tutti conosciamo e che normalmente già cataloghiamo come sofferenza.
Il secondo tipo di sofferenza viene chiamato la sofferenza del cambiamento ed è la sofferenza dovuta alla temporaneità del piacere. Tutti i fenomeni del samsara terminano e così qualsiasi piacere terminerà trasformandosi in sofferenza.
Il terzo tipo di sofferenza è chiamato sofferenza omnipervasiva e nasce dal fatto che non possiamo né scegliere, né conoscere quello che ci capiterà e quindi la nostra gioia non può mai essere completamente priva di incertezza e di ansia.
Quindi per il buddhismo tibetano la sofferenza non è soltanto il dolore ma è la condizione stessa della nostra vita nel samsara. Anche quello che noi chiamiamo gioia può essere classificato sofferenza perché la vera gioia per il buddhismo è qualcosa di molto più grande e stabile.
Seconda nobile verità: La verità delle cause della sofferenza
La seconda nobile verità afferma che la sofferenza ha una causa. Per il buddhismo nulla può infatti accadere senza una causa e la seconda nobile verità afferma che la causa della sofferenza è il desiderio o più precisamente il desiderio egoistico, ovvero l’attaccamento, l’avidità.
Per comprendere l’attaccamento, osserviamolo da vicino: quando pensiamo che qualcosa o qualcuno ci possa aiutare ad essere più felici, ci impegniamo per ottenerlo, spesso non curandoci del benessere degli altri. Dedichiamo tempo e fatica ed una volta ottenuto il risultato vorremmo possederlo e conservarlo per sempre. Questo nel samsara non è possibile: dovremo infatti certamente separarci dalle persone e dalle cose alle quali oggi siamo uniti. Inoltre dopo aver soddisfatto un desiderio, presto ne nasce un altro, creando così una catena infinita, che ci rende schiavi dell’illusione di trovare la felicità soddisfacendo i nostri desideri.
In realtà i nostri desideri egoistici si basano sull’ignoranza, ovvero sulla mancanza di consapevolezza che vivendo nel samsara, qualsiasi cosa noi possiamo vedere, udire, toccare, gustare, sentire o pensare è impermanente ed è destinata a cessare. Il nostro desiderio egoistico si attacca a queste forme impermanenti e vorrebbe renderle stabili.
È importante dunque comprendere che la sofferenza non è al di fuori di noi e non è una punizione divina. Non sono nemmeno i piaceri la causa della sofferenza, ma la causa della sofferenza è l’attaccamento ai fenomeni del samsara, che nasce dall’ignoranza.
Terza nobile verità: La verità della cessazione della sofferenza
La terza nobile verità afferma che la sofferenza cesserà quando la nostra mente si aprirà e lascerà andare i desideri egoistici. Il desiderio è la risposta abituale della nostra mente ogni volta che entriamo in contatto con uno stimolo esterno piacevole. Eliminare i desideri egoistici non significa uscire dal samsara: non sarebbe possibile. Significa piuttosto raggiungere l’equanimità, ovvero essere in grado di lasciar fluire i fenomeni, godendo di essi quando è possibile e lasciandoli andare senza rimpianto quando è il momento.
Quarta nobile verità: La verità del sentiero che porta alla cessazione della sofferenza
La quarta nobile verità dichiara che esiste un sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza. Ovvero esiste un addestramento mentale che ci porta a superare l’attaccamento verso i fenomeni del samsara. Questo è il Nobile Ottuplice Sentiero, ovvero la via di mezzo illustrata dal Buddha.
Non entreremo qui nei dettagli del Nobile Ottuplice Sentiero, ma ne vedremo tre caratteristiche principali: la rinuncia, la corretta visione e l’amore verso tutti gli esseri.
La rinuncia nasce dalla comprensione che tutto quello che possiamo desiderare (ricchezze, un corpo perfetto, relazioni umane, esperienze piacevoli, …) è impermanente ed è destinato ad esaurirsi. Per questo motivo, quando nasce l’attaccamento dovremmo imparare ad osservarlo e riconoscerlo come un moto della nostra mente che sembra positivo all’inizio, ma che invece ci imprigiona e sarà certamente causa di sofferenza in futurocit. Dovremmo quindi lasciarlo andare senza cercare di esaudirlo, né di reprimerlo.
Il secondo aspetto principale del sentiero è la corretta visione, cioè la comprensione che le cose esistono in modo diverso da come appaiono. Possiamo infatti affermare che nel samsara nessun fenomeno ha un’esistenza permanente unitaria e indipendente. È evidente infatti che tutto cambia in ogni istante e quindi nulla è permanente. È altrettanto evidente che ogni fenomeno dipende dalle sue parti, anche se non può identificarsi con esse. Ad esempio io non sono né il mio corpo, né la mia mente, ma non potrei esistere nel samsara senza di essi. Nessun fenomeno nel samsara infatti esiste in modo unitario. Allo stesso modo nessun fenomeno può esistere in modo indipendente: ad esempio noi non potremmo esistere se non ci fossero stati i nostri genitori. Mi piace a questo proposito citare una bellissima immagine di Tchi Nat Han: noi chiamiamo albero l’insieme di foglie, tronco e radici, perché i nostri sensi lo percepiscono come entità unica, ma l’albero non potrebbe esistere se non ci fossero la terra, l’aria, l’acqua ed il sole. Quindi anche questi elementi sono parte essenziale dell’albero. Il samsara è dunque un flusso di fenomeni interdipendenti e in cambiamento continuo. Per liberarci dall’attaccamento dobbiamo comprendere profondamente questo aspetto e superare l’ignoranza che ci fa vedere le cose come dotate di esistenza separata, unitaria ed indipendente.
Il terzo elemento del sentiero e l’amore verso tutti gli esseri. Se ci mettiamo in una prospettiva buddhista, è ovvio che noi esistiamo qui oggi perché in passato, nelle nostre vite precedenti, altri esseri viventi si sono presi cura di noi con amore e gentilezza. Se pensiamo alle infinite volte in cui siamo nati ed abbiamo preso un corpo, possiamo affermare che ogni essere vivente è stato in passato nostra madre. C’è quindi una relazione profonda con tutti gli esseri viventi, anche con quelli più lontani, anche con le zanzare e quando comprenderemo quanto ogni essere sia stato importante per noi, allora vorremo ricambiare questa gentilezza aiutando ogni essere senziente ad interrompere la propria catena di sofferenze ed a raggiungere l’illuminazione.
Abbiamo visto quindi che per il buddhismo tibetano la vera felicità nasce dall’estinzione della sofferenza ed abbiamo visto che è possibile eliminare la sofferenza eliminando la sua causa: il desiderio egoistico. Per eliminare il desiderio egoistico, ovvero l’attaccamento alle forme del samsara, possiamo seguire il nobile ottuplice sentiero ed in particolare dobbiamo addestrare la nostra mente alla rinuncia, al superamento dell’ignoranza ed all’amore incondizionato per tutti gli esseri. Possiamo infine sintetizzare questi concetti affermando che ogni sofferenza deriva dall’egoismo, mentre tutta la felicità del mondo deriva dall’altruismo.
Istintivamente noi pensiamo che essere felici significhi essere ricchi e possedere molte cose. In realtà da un punto di vista psicologico, la felicità è la condizione in cui non vi siano desideri da soddisfare.
Per il buddhismo tibetano di scopo più alto, la felicità é la cessazione definitiva della sofferenza per tutti gli esseri senzienti. La felicità di ciascuno infatti, non potrà essere completa fino a quando ci sarà un altro essere senziente che soffre.
Il primo insegnamento donatoci dal Buddha subito dopo l’illuminazione riguarda le quattro nobili verità, che sono la strada per la liberazione dalla sofferenza. La prima nobile verità è la verità della sofferenza, la seconda è la verità delle cause della sofferenza, la terza è la verità della cessazione della sofferenza e la quarta e la verità del sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza.
Adesso le vedremo una per una.
Prima nobile verità: La verità della sofferenza
La prima nobile verità afferma semplicemente che la sofferenza esiste ed è inseparabile dall’esistenza degli esseri senzienti. La parola utilizzata per sofferenza è dukha, che nell’antica lingua pali non significa soltanto dolore ma più ampiamente situazione insoddisfacente o incompleta.
Nel buddhismo ci sono diverse classificazioni della sofferenza, noi ci soffermiamo oggi su una classificazione in tre tipi diversi di sofferenza.
Il primo tipo è la sofferenza della sofferenza, ovvero il dolore e l’insoddisfazione, che tutti conosciamo e che normalmente già cataloghiamo come sofferenza.
Il secondo tipo di sofferenza viene chiamato la sofferenza del cambiamento ed è la sofferenza dovuta alla temporaneità del piacere. Tutti i fenomeni del samsara terminano e così qualsiasi piacere terminerà trasformandosi in sofferenza.
Il terzo tipo di sofferenza è chiamato sofferenza omnipervasiva e nasce dal fatto che non possiamo né scegliere, né conoscere quello che ci capiterà e quindi la nostra gioia non può mai essere completamente priva di incertezza e di ansia.
Quindi per il buddhismo tibetano la sofferenza non è soltanto il dolore ma è la condizione stessa della nostra vita nel samsara. Anche quello che noi chiamiamo gioia può essere classificato sofferenza perché la vera gioia per il buddhismo è qualcosa di molto più grande e stabile.
Seconda nobile verità: La verità delle cause della sofferenza
La seconda nobile verità afferma che la sofferenza ha una causa. Per il buddhismo nulla può infatti accadere senza una causa e la seconda nobile verità afferma che la causa della sofferenza è il desiderio o più precisamente il desiderio egoistico, ovvero l’attaccamento, l’avidità.
Per comprendere l’attaccamento, osserviamolo da vicino: quando pensiamo che qualcosa o qualcuno ci possa aiutare ad essere più felici, ci impegniamo per ottenerlo, spesso non curandoci del benessere degli altri. Dedichiamo tempo e fatica ed una volta ottenuto il risultato vorremmo possederlo e conservarlo per sempre. Questo nel samsara non è possibile: dovremo infatti certamente separarci dalle persone e dalle cose alle quali oggi siamo uniti. Inoltre dopo aver soddisfatto un desiderio, presto ne nasce un altro, creando così una catena infinita, che ci rende schiavi dell’illusione di trovare la felicità soddisfacendo i nostri desideri.
In realtà i nostri desideri egoistici si basano sull’ignoranza, ovvero sulla mancanza di consapevolezza che vivendo nel samsara, qualsiasi cosa noi possiamo vedere, udire, toccare, gustare, sentire o pensare è impermanente ed è destinata a cessare. Il nostro desiderio egoistico si attacca a queste forme impermanenti e vorrebbe renderle stabili.
È importante dunque comprendere che la sofferenza non è al di fuori di noi e non è una punizione divina. Non sono nemmeno i piaceri la causa della sofferenza, ma la causa della sofferenza è l’attaccamento ai fenomeni del samsara, che nasce dall’ignoranza.
Terza nobile verità: La verità della cessazione della sofferenza
La terza nobile verità afferma che la sofferenza cesserà quando la nostra mente si aprirà e lascerà andare i desideri egoistici. Il desiderio è la risposta abituale della nostra mente ogni volta che entriamo in contatto con uno stimolo esterno piacevole. Eliminare i desideri egoistici non significa uscire dal samsara: non sarebbe possibile. Significa piuttosto raggiungere l’equanimità, ovvero essere in grado di lasciar fluire i fenomeni, godendo di essi quando è possibile e lasciandoli andare senza rimpianto quando è il momento.
Quarta nobile verità: La verità del sentiero che porta alla cessazione della sofferenza
La quarta nobile verità dichiara che esiste un sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza. Ovvero esiste un addestramento mentale che ci porta a superare l’attaccamento verso i fenomeni del samsara. Questo è il Nobile Ottuplice Sentiero, ovvero la via di mezzo illustrata dal Buddha.
Non entreremo qui nei dettagli del Nobile Ottuplice Sentiero, ma ne vedremo tre caratteristiche principali: la rinuncia, la corretta visione e l’amore verso tutti gli esseri.
La rinuncia nasce dalla comprensione che tutto quello che possiamo desiderare (ricchezze, un corpo perfetto, relazioni umane, esperienze piacevoli, …) è impermanente ed è destinato ad esaurirsi. Per questo motivo, quando nasce l’attaccamento dovremmo imparare ad osservarlo e riconoscerlo come un moto della nostra mente che sembra positivo all’inizio, ma che invece ci imprigiona e sarà certamente causa di sofferenza in futurocit. Dovremmo quindi lasciarlo andare senza cercare di esaudirlo, né di reprimerlo.
Il secondo aspetto principale del sentiero è la corretta visione, cioè la comprensione che le cose esistono in modo diverso da come appaiono. Possiamo infatti affermare che nel samsara nessun fenomeno ha un’esistenza permanente unitaria e indipendente. È evidente infatti che tutto cambia in ogni istante e quindi nulla è permanente. È altrettanto evidente che ogni fenomeno dipende dalle sue parti, anche se non può identificarsi con esse. Ad esempio io non sono né il mio corpo, né la mia mente, ma non potrei esistere nel samsara senza di essi. Nessun fenomeno nel samsara infatti esiste in modo unitario. Allo stesso modo nessun fenomeno può esistere in modo indipendente: ad esempio noi non potremmo esistere se non ci fossero stati i nostri genitori. Mi piace a questo proposito citare una bellissima immagine di Tchi Nat Han: noi chiamiamo albero l’insieme di foglie, tronco e radici, perché i nostri sensi lo percepiscono come entità unica, ma l’albero non potrebbe esistere se non ci fossero la terra, l’aria, l’acqua ed il sole. Quindi anche questi elementi sono parte essenziale dell’albero. Il samsara è dunque un flusso di fenomeni interdipendenti e in cambiamento continuo. Per liberarci dall’attaccamento dobbiamo comprendere profondamente questo aspetto e superare l’ignoranza che ci fa vedere le cose come dotate di esistenza separata, unitaria ed indipendente.
Il terzo elemento del sentiero e l’amore verso tutti gli esseri. Se ci mettiamo in una prospettiva buddhista, è ovvio che noi esistiamo qui oggi perché in passato, nelle nostre vite precedenti, altri esseri viventi si sono presi cura di noi con amore e gentilezza. Se pensiamo alle infinite volte in cui siamo nati ed abbiamo preso un corpo, possiamo affermare che ogni essere vivente è stato in passato nostra madre. C’è quindi una relazione profonda con tutti gli esseri viventi, anche con quelli più lontani, anche con le zanzare e quando comprenderemo quanto ogni essere sia stato importante per noi, allora vorremo ricambiare questa gentilezza aiutando ogni essere senziente ad interrompere la propria catena di sofferenze ed a raggiungere l’illuminazione.
Abbiamo visto quindi che per il buddhismo tibetano la vera felicità nasce dall’estinzione della sofferenza ed abbiamo visto che è possibile eliminare la sofferenza eliminando la sua causa: il desiderio egoistico. Per eliminare il desiderio egoistico, ovvero l’attaccamento alle forme del samsara, possiamo seguire il nobile ottuplice sentiero ed in particolare dobbiamo addestrare la nostra mente alla rinuncia, al superamento dell’ignoranza ed all’amore incondizionato per tutti gli esseri. Possiamo infine sintetizzare questi concetti affermando che ogni sofferenza deriva dall’egoismo, mentre tutta la felicità del mondo deriva dall’altruismo.
Scrivimi per parlare di buddhismo. Il mio indirizzo email è [email protected]